Quante volte vi è capitato, ammettetelo, di dire: “si, bella, ma che ce vò!” guardando una fotografia? Ovvio che questo vale anche per un quadro o un gol!
Noi Italiani, siamo un popolo di allenatori quando si parla di calcio e di artisti quando si parla di fotografia (o affini). Nessuno o quasi, mai generalizzare, si preoccupa di cosa c’è dietro una fotografia a meno che il dietro non sia quello di Belen Rodrigez ;-)
Stamattina, gironzolando su Flickr come faccio sempre, ho visto la fotografia che vedete a inizio post. E’ di Claudia Rocchini (grazie per avermi dato la possibilità di pubblicarla) che ben conoscete oramai.
La sua foto mi ha fatto riflettere su quanto sia facile credere che una foto sia frutto del caso e7o della attrezzatura spaziale, ma perché quella foto mi ha fatto riflettere su questa questione? Non certo perché io pensi che non ci voglia nulla a farla o che io minimamente sia in grado di “ri-farla”, no. La cosa è nata perché un mio collega di lavoro nel guardarla ha detto, magari soltanto per farmi un complimento: “Bella ma te la rifaresti uguale, basta che prendi la sua stessa attrezzatura e sei a posto”.
A posto? La stessa attrezzatura? Sapete che gli ho risposto?
“E te prendi ad una Roma Store la maglia numero 10 e gli stessi scarpini di Totti e cerca di riportare in auge la Roma allora!”
Sai quante pagnotte sia Totti che Rocchini si sono magnati, come si dice al paese mio, per arrivare dove sono arrivati?
La verità è che nessuno è disposto a considerare il semplice fatto che per arrivare ad un certo risultato, qualsiasi esso sia, si debba fare un percorso percorso lungo, denso di fatica, di studio e di rinunce. Questa passione, per chi ce l’ha, molte volte ci spinge a trascurare affetti ed impegni mondani a favore di un’impulso che ci rode dentro e che in tutti i modi cerca di uscire fuori. Io l’ho scritto nel mio profilo: “Quello che sono adesso, dietro al mirino, è frutto della passione e dell’amore che ho verso la fotografia.”
Altro che “che ce vo'”, vaffanculo ai “che ce vo'”
Ma adesso diamo la parola a Claudia, che nel suo stream Flickr scrive sulla sua foto:
La tì (ndr: un utente Flickr che ha commentato la sua foto e a cui Claudia sta rispondendo), forza maggiore, in questo periodo ho i movimenti un po’ limitati, tocca dedicarmi alla “ricerca” più che allo scatta e fuggi :)
Racconto la storia dello scatto.
Vetro di osservazione con livello d’acqua a filo d’occhi., zona molto in ombra ad eccezione di alcuni punti, con il solito effetto spot naturale dato dai raggi del sole. Il signorino era in fase bagnetto alternata a immersioni, tradotto, molto movimento e schizzi vari.
Il vetro al solito molto sporco, per condensa e macchie varie.
Questa specie, a differenza di altri anatidi, è di fatto inespressiva: quegli occhi gialli, apparentemente privi di contropalpebra, sul piumaggio marrone certamente spiccano, ma con effetto occhio di vetro, soprattutto quando l’uccello è fermo o si riprende nella classica posa laterale.
Per ottenere un minimo di espressività dallo scatto, cioè per tirar fuori quell’effetto chiamiamolo “umano”, bisogna tentare di cogliere un movimento particolare della testa, associato a qualche altro dettaglio di contorno (in questo caso, acqua congelata, gioco di luci e di riflessi).
Infine, ho studiato una composizione differente dalle solite, posizionando il soggetto nell’angolo alto a sinistra, anche se in molti avrebbero tagliato verticalmente il fotogramma.
In post ho gestito livelli e curve in automatico e finita lì :)
Finita li? Cara Claudia, la foto sarà anche “finita lì”, ma questa è iniziata tanti anni prima, ok qualche anno prima, quando hai preso per la prima volta in mano una Reflex ed hai capito che quello sarebbe stato il tuo modo di vedere il mondo di li in poi!
Una risposta su “Cosa c’è dietro ad un “E che ce vò!””
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