Questo che leggete è un’estratto del libro “Tutti i segreti della Fotografia – arte della ripresa e tecnica dell’ingrandimento” finito di stampare nel marzo del 1978 dalla Mondadori. L’autore è Alexander Spoerl. E’ interessante che le cose, sbassamutande e mdf inclusi non siano cambiate poi cosi tanto in quasi 40 anni. Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate.
Per queste foto non c’è mai una ragione determinante. Ma se ci viene chiesto di farle, non è che la richiedente sia necessariamente una donna leggera: ha l’unico difetto, se così vogliamo chiamarlo, di piacere a se stessa. Il che tra l’altro è suo diritto. Il pericolo è che la modella piaccia anche a noi. Per un uomo normale, un bel corpo femminile, senza veli, non è certo una visione di tutto riposo. Ma un gentiluomo non lo dà a intendere, né d’altra parte esegue sempre la foto richiestagli. Questo comunque non toglie nulla al suo onore, purché egli in quel che fa trovi almeno qualcosa che gli piaccia, fotograficamente parlando.
La fotocamera è crudele, impietosa: a questo dovrebbe pensare una donna, e non una, ma cento volte, prima di farsi fare un nudo.
L’obiettivo trasforma – o vede? – i nei di bellezza come macchie mal collocate, un prosperoso seno come una montagna di carne e, di spalle, un cocomero troppo maturo. Imbruttisce le ginocchia e di due femori, biologicamente ben formati, ne fa due sciabole. Di fronte a una donna nuda, che lo si voglia o no, il nostro sguardo si vela e non riusciamo più a fare una composizione, ma soltanto a puntare la fotocamera.
L’immagine di una donna nuda non è ancora una fotografia di nudo; né uno studio è quello d’un uomo nudo.
Non c’è alcun motivo di correre a piazzarsi, con la fotocamera, davanti a una persona nuda; e questa, non la si spoglia per fotografarla, ma la si fotografa sebbene sia del tutto nuda. E se uno si spoglia, c’è almeno un motivo. Quanto meno perché si deve cambiare, il che può essere un buon soggetto fotografico; perché vuol fare il bagno, e anche questo deve venir chiaramente motivato; o perché gli piace stare liberamente all’aria, e allora se ne deve poter vedere il volto. In ogni caso, nella foto, deve essere sempre ben visibile, o quanto meno comprensibile, la ragione per cui quell’individuo non ha niente addosso.
Una ragazza nuda davanti a una credenza non ha alcuna ragione d’essere: può anche succedere, ma quanti ci crederebbero?
Anche un uomo nudo in bicicletta lo si può forse incontrare, ma è altrettanto incredibile.
Due persone nude, nella stessa foto, danno una “composizione”. Se sono di sesso diverso può venir fuori anche una scena. Nel primo caso, quel che importa è quanto sia bella quella composizione; nel secondo, che cosa vuole esprimere. Fotografare una porcheria non è comporre una scena, ma insudiciarsi con una volgarità.
La fotografia di nudo che si è più sicuri di realizzare bene è quella che non si scatta. La migliore, quella che, nonostante tutto, non si può lasciar perdere.
In un nudo quel che alfine realmente importa è che esso sia autenticamente una foto. E una foto non è qualcosa che eccita, ma che allieta. Una buona foto può far sembrare una persona ancor più nuda di quello che è, rimanendo pur tuttavia una buona foto. E ciò che è “Buono” non può mai essere volgare.
Un nudo non è scostante sempre e solo perché il fotografo ha ceduto al volgare, ma a volte soltanto perché ha realizzato questa foto in modo totalmente irriflessivo, acritico.
In fotografia il peggior nemico all’autocritica è il compiacimento per il proprio soggetto.
Se si ha ben chiaro questo concetto, allora si può proseguire nello “studio del nudo”, in cui ci si occuperà del corpo non nel suo insieme volumetrico, ma nel gioco delle sue linee di contorno.
Purtroppo ho avuto modo di constatare che fino ad ora si definisce “buono” uno studio, soltanto per i giochi di luce che in esso si sono realizzati. Invece è proprio il corpo nudo che vale uno studio. Nel petto d’una donna, nelle flessuosità del corpo, nelle curve di braccia e gambe vi può essere infinita bellezza. Che poi ci sia “anche” bisogno di effetti d’illuminazione, questo non dipende dal fotografo, ma da chi ne osserverà l’opera, qualcuno che in genere è di almeno tre livelli più malpensante di chi sta dietro il vetro smerigliato.1
Gli studi poi non sono foto da divulgare, ma da studiare, appunto: esercizi per imparare a conoscere le forme, l’espressione, le luci. Non li si fanno né per un giornale, né per un album.
È comunque vero che un nudo ben riuscito rimane un “unicum”: quelli che vengono peggio sono quelli che vengono riprodotti. Un corpo nudo, visto attraverso il filtro atermico del vetro smerigliato, non è che una realtà, purtroppo troppe volte e da troppi fraintesa.
Il problema peggiore è come o dove conservare un nudo fotografico. Di uno ben fatto, la proprietaria e modella può anche farne un quadro: quelli mal riusciti, tanto meglio bruciarli.
Per i nudi non è possibile prescrivere un diaframma, né consigliare un tempo di posa, non ci sono suggerimenti né etici né religiosi. Un’unica regola va però rispettata: quanto più esuberante è il soggetto, tanto più lunga ha da essere la focale.2
Note
1 Per eliminare le impurità della pelle, è bene abbondare con il filtraggio : se alla luce diurna, meglio un filtro giallo 3 x ; all’esterno, anche uno arancione, che sottolineerà maggiormente il contrasto tra il corpo e il cielo. Con luce artificiale, almeno uno giallo 2 x .Quando la pelle è “pulita”, si eviti al massimo il ricorso ai filtri, dato che essi annullano gli effetti dovuti ai riflessi della luce sul corpo, che danno ottimi risultati sia fotografando in b/n in luce artificiale e persino alla luce del sole (in questo caso un leggero filtro UV). Attenzione all’antiestetica sudorazione! Dato che alla foto di nudo è chiesto non tanto di far vedere qualcosa, ma di raccontare un’impressione, ecco che essa è veramente il regno del flou. Prudenza lavorando con il colore: lasciatelo fare a chi ne è realmente esperto (pericolo: troppa realtà).
2 Anche qui valgono le regole indicate per il ritratto: focali relativamente lunghe (misurate sulla diagonale del formato) ammorbidiscono la plasticità del soggetto, fino a renderlo piatto.